La critica scettica alla logica classica

Pirrone

Agrippa, vissuto nel I sec. d. C., uno dei massimi esponenti dello scetticismo antico (fondato da Pirrone nel III sec. a. C., immagine in alto), nel mondo antico, riassume secoli di critica scettica alla pretesa dei filosofi e degli scienziati di pervenire a qualche “verità” in 5 fondamentali argomenti o modi (in greco tròpoi). Se Agrippa ha ragione, la filosofia (e, più in generale, l’uomo) non può che fallire l’obiettivo di liberarsi dalla dòxa, dalla mera opinione. Secondo Agrippa non possiamo dimostrare razionalmente che qualcosa sia vero (cioè che sia un principio e non solo un’ipotesi) per le seguenti ragioni:

  1. Se cerco di dimostrare la mia ipotesi (che può fungere da premessa in un sillogismo) a partire da altre ipotesi che ne derivano cado nel diallele circolo vizioso: dimostro il (preteso) principio ricorrendo ad altre ipotesi (che ne derivano), per poi dimostrare queste stesse ipotesi a partire dal principio (p.e. prima deduco dal fatto che gli animali muoiono il fatto che gli uomini muoiono, poi inferisco per induzione dal fatto che gli uomini muoiono, essendo gli uomini un “esempio” di animali, che gli animali, in generale, muoiono).
  2. Se cerco di dimostrare la mia ipotesi invocando altri presupposti che non la implicano (per evitare di cadere in un circolo) devo poi dimostrare questi presupposti e così via all’infinito: dunque non pervengo a nessun principio primo (problema del regresso all’infinito).
  3. Se mi accontento della mia opinione che una determinata “cosa” (p.e. Dio, l’acqua, l’infinito ecc.) sia il principio, ho ancora solo un’ ipotesi (un’opinione appunto) e non il principio an-ipotetico che cercavo (anche se ricavo tale ipotesi dall’esperienza).

Gli altri due modi o tropi si rifanno

  1. al rapporto tra le ipotesi e chi le formula (il soggetto della conoscenza), il quale non può che subire l’influenza della sua esperienza soggettiva e parziale e così condizionare la forma che conferisce alle sue ipotesi;
  2. alla constatazione che, in generale, tutti i tentativi di arrivare a un principio sembrano falliti, come documenta il pluralismo delle opinioni (degli stessi filosofi) attestato dalla storia della filosofia.

Gli scettici considerano “dogmatiche” tutte le altre scuole, perché ritengono che i presunti “principi” su cui esse si fondano (p.e. le idee di Platone, gli atomi degli epicurei, il lògos divino di Eraclito e degli stoici ecc.) e da cui esse derivano le loro dottrine etiche, siano mere “opinioni” (dòxaidògmata) o credenze prive di fondamento. Il termine “dogma”, infatti, ha la stessa radice di “dòxa” e significa opinione. Anche nell’ambito della dottrina cristiana dogmi sono le verità tenute per certe per sola fede e non dimostrabili razionalmente (come la Trinità di Dio o la natura divina e umana di Cristo).

Una classica obiezione allo scetticismo è la seguente: anche lo scettico deve decidere di volta in volta che cosa fare, p.e. se andare o meno al mercato a comprare la frutta; dunque, egli deve credere che qualcosa (p.e. mangiare frutta) sia meglio di qualcos’altro (p.e. non mangiare frutta). Lo scettico risponde che non ha ragioni particolari per fare qualcosa rispetto a qualcos’altro. Se gli si chiede perché faccia qualcosa, risponde: “E perché no?”. Inoltre lo scettico sa che è impossibile non avere opinioni, anche circa il bene, ma sa che esse sono solo tali, credenze senza fondamento. Di fatto egli le segue. Per lo più egli seguirà l’opinione dei più, apparirà del tutto “conformista”, ma senza credere fino in fondo che ciò che fa sia la cosa migliore da fare.

Un’altra obiezione classica, simile a quella che si fa ai sofisti, riguarda l’implicito relativismo dello scettico (come i sofisti pensavano che ogni opinione fosse vera, lo scettico pensa che ogni opinione in un certo senso sia falsa o, comunque, indimostrabile del pari di ogni altra).  Lo scettico stesso “crede” nel suo scetticismo? Se sì, egli presuppone autocontraddittoriamente almeno una verità: che non ci sia nessuna verità. Lo scettico, tuttavia, negherebbe di assumere “dogmaticamente” che non ci sia nessuna verità. Direbbe: “Non è esatto affermare che so di non sapere, come diceva Socrate, perché, in effetti, anche questo sarebbe un sapere. Più precisamente: non so se so o se non so”. Dunque anche lo stesso scetticismo, per gli scettici più radicali, è dubbio, ma non meno di qualsiasi altra posizione.

Gli scettici non si compiacciono di demolire le teorie dei loro avversari dogmatici (soprattutto, nella loro epoca, stoici ed epicurei) “per il puro gusto di farlo”, ma perché ritengono che dubitare di tutto e non credere a nulla sia la via più promettente per conseguire la saggezza, la serenità e l’imperturbabilità, ossia gli stessi scopi delle altre scuole ellenistiche. Infatti, se dubito di tutto, nulla mi può preoccupare, perché non so mai se quello che faccio sia giusto o sbagliato e non posso quindi mai sentirmi inadeguato rispetto a obiettivi che non so valutare.

In termini moderni si direbbe che lo scettico è una persona che “non si fa problemi”. In effetti “pròblema” in greco significa “ostacolo”. Implicitamente, dunque, avere un problema significa avere un obiettivo e incontrare un ostacolo sulla strada che porta a raggiungere quell’obiettivo. Ma, se non si hanno obiettivi (che non siano effimeri), perché non si è certi di che cosa siano bene e male, non si hanno problemi.

 

di Giorgio Giacometti