Storia moderna e contemporanea come ermeneutica del presente

Barche preistoriche

In questa sotto-sezione del sito Platone 2.0 tratto di storia moderna e contemporanea, argomento che ho approfondito in quanto docente di storia in un liceo, supervisore al tirocinio dei futuri docenti di storia delle scuole superiori e, infine, cultore della materia – già docente a contratto – di dottrine politiche presso l’Università di Udine.

All’interno di un sito dedicato alla filosofia la storia moderna e contemporanea può essere esaminata in una duplice prospettiva:

  1. come contesto storico della Storia della Filosofia presentata in altra sezione del sito, in particolare nella sotto-sezione dedicata alla Filosofia moderna e contemporanea;
  2. come ermeneutica del presente.
  • Che cosa intendi con “ermeneutica del presente”?

Ti faccio un esempio. Mio figlio Lorenzo conoscerà un mondo fatto, tra le altre cose, di barche, automobili e computers. Questi artefatti saranno per lui contemporanei, ciascuno con la propria funzione. Se nessuno lo smentirà, crederà che siano stati inventati nello stesso momento da qualcuno che li avrà concepiti per assolvere le loro rispettive funzioni. Ignorerà che le prime barche risalgono a millenni fa, le prime automobili a più di secolo fa e i personal computers a qualche decennio fa…

Ma ciascuna di queste “cose” esprime un mondo, il quale, a sua volta, è una prospettiva sul tutto o sull’Assoluto, nel senso forte di un modo in cui il tutto si offre, si manifesta.

Una barca reca traccia del mondo di coloro che per primi concepirono e adoperarono barche, anche se il loro mondo è tramontato e le barche moderne sono solo vagamente simili a quelle antiche. Nondimeno chiunque vada per mare rivive in qualche misura l’esperienza antica dell’uomo che si confronta con la natura.

Evocare i mondi smarriti che certi artefatti, come certi monumenti, ci ricordano non è che risalire alle origini del presente, per comprenderne le radici e, in ultima analisi, la nostra identità. Il passato esiste, infatti, solo come nostro passato, esiste solo nella nostra prospettiva. Evocarlo è comprendere chi siamo.

Dunque nel fare storia su questo sito insisterò soprattutto sui quei tratti della “grande storia” che ci aiutano a comprendere perché pensiamo quello che pensiamo e sentiamo quello che sentiamo (in fatto per esempio di giustizia, di amore, di speranza ecc.).

Se per esempio sentiamo come ingiusto che persone appartenenti a gruppi sociali o etnici diversi siano trattate in modo diverso, ossia che alcuni siano discriminati rispetto ad altri, è perché siamo figli della Dichiarazione dell’uomo e del cittadino del 1789. Platone e Aristotele non avrebbero trovato ingiusto che alcuni fossero trattati come schiavi (quali erano) e altri come uomini liberi o che alle donne venissero assegnati compiti diversi e subordinati rispetto a quelli assegnati agli uomini.

Il fatto di comprendere come storicamente condizionate certe nostre credenze attuali (esercitando appunto la storia come ermeneutica del presente) ci costringe a relativizzarne la portata e chiederci, filosoficamente, se esse poggino su qualcosa di più che su abitudini secolari. Paradossalmente anche la modernità, che ha voluto sbarazzarsi di ogni tradizione, ha prodotto una nuova tradizione: valori di cui non ci si chiede più il fondamento e che sono proposti come ovvi, mentre ovvi non sono affatto.

  • D’accordo. Tu però dicevi che intendi proporre queste linee di storia moderna anche per offrire un contesto alla filosofia moderna. Pensi, dunque, che la filosofia moderna dipenda dalla storia moderna?

Da quello che ho appena suggerito in termini di ermeneutica critica del presente dovresti avere compreso come così non possa essere. Se, infatti, la filosofia (di un’epoca) dipendesse interamente dalla storia (di quell’epoca), non di pensiero propriamente si tratterebbe, in senso filosofico, ma di religione, cioè di alcunché di creduto perché testimoniato e tramandato, non perché propriamente pensato e concepito, sempre di nuovo, radicalmente, come si richiede quando è in gioco la filosofia. In effetti il solo vero pensiero è quello che esercitiamo noi, qui e ora, tu che leggi e io che scrivo (o tu che chiedi e io che rispondo). La filosofia di cui resta traccia scritta può essere riconosciuta come tale, sono in quanto risuona, per così dire, con il nostro pensare.  Dunque, per esempio, se Cartesio ha detto qualcosa di filosofico non è perché gli è stato suggerito dalla sua epoca, ma perché anche noi oggi possiamo, in qualche misura, intendere il valore universale e necessario del suo dire, fare di lui un paradigma per sempre.

  • Ma se le cose stanno così, perché fornire il contesto storico di un pensiero?

Non certo per ridurre il pensiero in questione alle sue radici storiche, come se esso fosse da queste determinato, ma, come suggerisce la parola “contesto”, per aiutarci a intendere quel pensiero, immergendolo nel suo “tempo”. L’ipotesi è che, come Cartesio, anche la regina Cristina di Svezia che lo ospitò, ci possa interessare, perché le sue domande a Cartesio potrebbero essere anche le nostre. Più in generale, tornando alla storia come ermeneutica del presente, un’intera “epoca”, per esempio il Seicento-Settecento europeo, non è che una prospettiva sul tutto, un modo di intendere il tutto, con una sua coerenza interna, frutto di infiniti rimandi reciproci tra i diversi modi in cui in quell’epoca ci si esprimeva, in tutti i campi; insomma ogni epoca ha una sua “filosofia” di fondo (quella che si esprime, nel caso del Seicento-Settecento, tanto nell’arte barocca quanto nella filosofia di Leibniz, tanto nella musica di Bach quanto nella corrente religiosa del pietismo tedesco ecc.), la quale , da un lato, più o meno consciamente ci condiziona, perché ne siamo figli, dall’altro lato può essere riportata il più possibile in luce, anche nei tratti più apparentemente inattuali, perché potrebbe avere qualcosa di filosoficamente inaudito da suggerirci…