Infinito e disincanto

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  • Eppure la prospettiva filosofica che sviluppi nella sotto sezione di questo sito che hai chiamato FISICA mi sembra un vano tentativo di “reincantare” il mondo. L’ipotesi che tutto sia vivo, guidato da cause finali e formali ecc. non è che un ritorno, fuori tempo massimo, romantico, a un’immagine del mondo animistica, panteistica, già oggetto di critiche nel tempo antico (da parte p.e. dei filosofi atomisti) e definitivamente tramontata con l’avvento della rivoluzione scientifica. Si tratta di un disperato tentativo di riesumare le “favole belle” degli antichi, che fu già additato al sarcasmo nel XIX  secolo da Giacomo Leopardi. Come puoi spacciare come credibile un’operazione così antistorica?

Si può senz’altro leggere la mia prospettiva nel modo che suggerisci. La sua credibilità, tuttavia, cresce se mediti a fondo sul senso del cosiddetto “disincanto” (Entzauberung) che, secondo Max Weber, contraddistinguerebbe la modernità a partire dalla progressiva “esanimazione” del mondo operata già dalle grandi religioni abramitiche, che, in un certo senso, hanno concentrato in Dio quel mistero, quella magia, quella vita, che, prima, abitava il mondo,

  • Come è possibile che la meditazione sul disincanto reincanti il mondo? Anzi, mi sembra che consolidi la mia perplessità sulla tua prospettiva neo-animistica.

La vera svolta che segna il passaggio tra l’ingenuità dello sguardo degli antichi e la moderna comprensione del mondo (che ha per effetto un apparente disincanto) è la scoperta dell’infinito in atto, già intuita ed espressa nel tardo platonismo, covata dalle religioni abramitiche (ma in forma “grossolana” nelle loro versioni ortodosse e popolari), quindi definitivamente affermatasi nel Rinascimento.

  • In che modo la scoperta dell’infinito giocherebbe un ruolo in tale passaggio?

Consideriamo, seguendo Niccolò Cusano, che forma assumerebbe una circonferenza, ingrandita fino ad avere un raggio infinito.

cerchio_infinito

La circonferenza diverrebbe sempre più “piatta” fino ad assumere la forma di una retta (una retta, tra l’altro, paradossale, orientata in tutte le direzioni e tale, dunque, da riempire tutto lo spazio). Si potrebbe dire, sotto questo profilo, che ciò che appare come una retta, è, in effetti, una curva. Essa apparirebbe ancora come una curva se fosse possibile osservarla con l’occhio di Dio, ossia “all’infinito”.

  • Ammettiamo che le cose stiano così. Ma tutto questo che cosa c’entra con il tema del disincanto/reincanto?

In sintesi: nel mondo moderno appare come “meccanico”, interpretabile solo in termini di cause materiali ed efficienti, privo di vita, privo di incanto (corrispondente a ciò che è “retto” nell’immagine della sfera di raggio infinito), ciò che nel mondo antico, ingenuamente si credeva immediatamente “organico”, interpretabile in termini di cause formali e finali, vivo, incantato (corrispondente a qualcosa di “curvo”). Il punto è che ciò che anticamente appariva vivo, “curvo”, nella nostra metaforica, ancor oggi apparirebbe tale (perché effettivamente sarebbe tale, come argomento su questo sito) solo che lo guardassimo con l’occhio di Dio o lo “immergessimo” nell’infinito.

  • Spiegati meglio

L’errore degli antichi consisteva nello scambiare una metafora per una realtà. In un certo senso il mondo è vivo, la natura è abitata da anime  e potenze ecc. ma non nel senso che ninfe e fauni, concepiti in modo antropomorfico, abitino fiumi e boschi o che il mondo, nel suo insieme, sia un tutto finito, limitato e vivo come un grande animale qualsiasi che pensa, si nutre, vive e sogna.

Questo modo ingenuo di concepire la natura sembra talora riemergere in certe correnti new age che credono di poter derivare semplicisticamente da certi paradossi quantistici ecc. la credenza in fenomeni paranormali che, verosimilmente, esistono solo nell’immaginazione di chi ne congettura l’esistenza.

  • E quale sarebbe il modo non ingenuo di intendere che il mondo è vivo?

Quello che provo a delineare in questa sezione del mio sito. Niente di ciò che la scienza moderna ha messo in luce è falso. L’interpretazione meccanicistica del mondo entro certi limiti è valida. Essa, semplicemente, non è l’unica possibile, lascia inevase una serie di domande, presenta, portata alle estreme conseguenze aporie, richiede, in ultima analisi, di venire integrata.

E tutto questo – passaggio fondamentale – non per opporre il sogno alla ragione, ma, al contrario, per seguire fino in fondo il filo della ragione, il suo rigore e aprirsi, eventualmente, all’intuizione (che non è gratuita fantasia) quando è la ragione stessa, avendo raggiunto i propri limiti, a chiedercelo.

  • E come dovrebbe venire integrato il meccanicismo? Mediante quali intuizioni?

Prendiamo il caso delle “cause finali e formali”. La ricostruzione storica dell’evoluzione delle specie è ineccepibile. Possiamo anche spingerci in laboratorio a simulare il meccanismo della selezione naturale (ad esempio effettuando esperimenti sul moscerino della frutta). Soltanto: è possibile argomentare, come qui provo a fare, che tale meccanismo, pur operante, sia insufficiente a rendere conto dell’evoluzione (così come la ricostruzione del funzionamento fisico-chimico delle molecole di DNA non è sufficiente a spiegare il passaggio dal genotipo al fenotipo) e reintrodurre, a livello congetturale, l’azione di cause finali e formali (nel caso dello sviluppo degli organismi: di campi morfogenetici). Tuttavia, tali cause (tali campi) devono operare, in un certo senso, nascostamente, segretamente; comunque: a un diverso livello. Ecco la differenza con la concezione ingenua, antica. Non si tratta dello stesso piano. Il mondo appare necessariamente meccanico, mentre è legittimo congetturare che esso sia vivo.

  • Si tratta, mi pare di capire, della distinzione kantiana tra fenomeno e noumeno.

Precisamente. Se ci rifletti, tuttavia, tale distinzione scaturisce dalla scoperta dell’infinito.

  • In che modo?

Le cause finali e formali, come detto, devono operare a un diverso livello rispetto alle cause meccaniche. Si tratta, in ultima analisi, del dislivello tra il finito e l’infinito. In termini spinoziani (anche se Spinoza si rifiuterebbe di reintrodurre le cause finali): sub specie aeternitatis si rivela vivo, orientato a fini, dotato in ultima analisi di senso, ciò che, sub specie societatis, appare morto, meccanico, casuale. Si tratta di cambiare il nostro sguardo sulla natura, accettando tutte le conseguenze non ingenue di tale cambio di sguardo.

  • Quali conseguenze?

Ad esempio; che tutto è in tutto (come in una sfera di raggio infinito, in cui ogni punto coincide con ogni punto, ogni parte con il tutto, il tutto con ogni parte ecc.) e, dunque, io sono ciò che contemplo (“l’anima è e diviene ciò che contempla”, nelle parole di Plotino che spesso evoco, cfr. Enneadi, IV, 3, 8, 15). La “vita” che anima l’universo è la vita stessa dello spettatore del cosmo. La natura è viva non tanto perché sia popolata da ninfe e fauni, quanto perché io che la contemplo sono vivo e, in un certo modo, “la sono”, Le anime delle cose sono la mia anima. Io sono il centro del mondo (il punto di vista della prospettiva rinascimentale) e, insieme, la fine del mondo (il punto all’infinito): contengo il mondo da cui sono contenuto.

Tuttavia, questa universale animazione (intuita nella sua effettiva portata, ad esempio, da Giordano Bruno), richiede, per così dire, per rendersi credibile e non cadere nelle forme ingenue e infantili di un animismo “fondamentalista” o “letteralista” (come se questo orsacchiotto fosse letteralmente vivo come il mio gatto), un passaggio all’infinito, l’adozione di una prospettiva “assoluta” (paradossale come tale), che può essere solo congetturata, non direttamente esperita. 

Storicamente la modernità inizia con questa duplice scoperta: che il mondo è infinito e che la natura, proprio per questo, pur essendo Dio (eterna, infinita e viva), può concedersi, nel finito, di apparire meccanica e disporsi docilmente a cedere allo sguardo dell’investigatore “scientifico” che ne traccia le leggi e le forme matematiche apparentemente senza senso e senza scopo (così come, ahimé, essa – salvo poi vendicarsi in tanti modi – può cedere allo stupro di chi, approfittando delle informazioni fornitegli dall’investigatore scientifico, la penetra al solo fine di dominarla, come se, per il fatto di essere ignoto, sfuggente, il senso profondo delle cose fosse del tutto assente).

di Giorgio Giacometti