La guerra fredda fino agli anni Cinquanta

Il quadro geopolitico in evoluzione dall’inizio della guerra fredda agli anni Cinquanta del Novecento è contraddistinto dal perdurante confronto tra i blocchi contrapposti, all’interno di ciascuno dei quali (ma con maggiore durezza nel blocco comunista) sono oggetto di repressione e discriminazione coloro che sono sospettati di simpatizzare per l’ideologia dello schieramento avversario.

In Europa si registra una “sistemazione” del quadro, da un lato, con l’imposizione dei regimi comunisti nei Paesi dell’Est negli anni Quaranta (culminata con la nascita del Patto di Varsavia nel 1955) e con la repressione della rivolta d’Ungheria del 1956 e, dall’altro lato, con la nascita della Germania Federale (filoamericana) e di una Jugoslavia sempre più autonoma da Mosca.

Nello stesso periodo, prima in Asia (fine anni Quaranta) e poi in Africa (fine anni Cinquanta), si realizza una progressiva decolonizzazione che vede i suoi momenti più significativi nell’indipendenza dell’India (1947), pur segnata dai gravi conflitti tra hindu (concentrati nell’Unione Indiana) e musulmani (concentrati nel neonato Pakistan), nella proclamazione della Repubblica Popolare Cinese guidata da Mao Zedong (1949) e nell’emancipazione progressiva dei Paesi africani soprattutto da Inglesi e Francesi, ispirata anche dalla politica nazionalista e panaraba di Nasser (salito al poter in Egitto nel 1952).

La contrapposizione tra i blocchi si manifesta in modo virulento, alla periferia dei due “imperi”, nella guerra di Corea (1950-53), che, tuttavia, nonostante l’infelice intenzione del generale McArthur di ricorrere all’arma atomica (all’epoca già in possesso dei Russi dal 1949, ma non ancora dei Cinesi), non porterà a nulla di fatto (a differenza della successiva guerra del Vietnam, 1961-75), e nel tentativo sovietico e, poi, cinese di egemonizzare la lotta dei popoli del Terzo Mondo per l’indipendenza (espresso ad es. nella solidarietà tra l’URSS e l’Egitto di Nasser in funzione anti-israeliana e, dunque, indirettamente, anche anti-americana).

Nessuno spazio sembra residuare per una politica autonoma della potenze europee che subiscono diversi smacchi: la Francia, in particolare, deve rinunciare prima all’Indocina (1954), quindi, dopo l’infelice tentativo di difendere il canale di Suez dalla nazionalizzazione egiziana (1956), sostenuto da Israele e dalla Gran Bretagna, ma non dagli Stati Uniti, deve progressivamente rinunciare alle sue colonie africane a cominciare dalla Tunisia e dal Marocco e per finire, dopo una sanguinosa guerra di liberazione, con l'”amata” Algeria, nel 1962, dove risiedevano milioni di Francesi e che era stata la prima colonia africana francese, risalente a re Carlo X di Borbone (1830).

Cfr. cap. 16, § 3, La liquidazione del colonialismo in Africa, La liberazione dell’Algeria; cap. 17, § 1.